«Vi farò vedere io se le donne non sanno stare in bicicletta come gli uomini»

Alfonsina Strada

Alfonsina Strada è la prima e unica donna nella storia ad aver corso il Giro d’Italia ed è oggi considerata una delle pioniere della parificazione di genere in campo sportivo.

La storia di Alfonsina, nata nel 1891 come Alfonsa Rosa Maria Morini, inizia nella campagna bolognese, dove cresce in una povera e numerosa famiglia di contadini. Sin da piccola, si appassiona al ciclismo. Pedala come avesse il fuoco in corpo e partecipa a numerose competizioni locali, richiamando pettegoli e curiosi.

Continuamente osteggiata dalla famiglia per la sua passione, sposa Luigi Strada, un mite meccanico e cesellatore che con il suo cognome segna il destino di Alfonsina e diventa il suo primo motivatore. Strada la capisce nel profondo e la incoraggia sin dall’inizio regalandole, il giorno delle nozze, una bicicletta da corsa. L’anno successivo i due si trasferiscono a Milano, dove Alfonsina comincia ad allenarsi con serietà.

Alfonsina e il Giro d’Italia

Nel 1924 partecipa, prima donna in assoluto, al Giro d’Italia: un giro di dodici tappe per un totale di oltre 3600 chilometri su strade bianche, tra polvere, buche e intemperie, su bici pesantissime e prive di cambio.

Nelle prime tappe, le performance di Alfonsina sono tutt’altro che scarse: si classifica in posizioni decorose e dimostra a tutti che anche le donne possono compiere un’impresa tanto grande e faticosa. All’arrivo di ogni nuova tappa viene accolta da una folla che la acclama, la festeggia, la sostiene con calore e partecipazione. “Lungo tutto il percorso della Genova-Firenze non si è sentito che chiedere: – C’è Alfonsina? Viene? Passa? Arriva?”, scrive in quei giorni la Gazzetta dello Sport.

L’ottava tappa è L’Aquila-Perugia. Nei 296 km massacranti resi ancora più duri dalla pioggia e dal vento, Alfonsina cade, rompe il manubrio, con l’aiuto di una spettatrice riesce a ripararlo alla buona con un manico di scopa e dello spago e arriva a Perugia nel cuore della notte, ben oltre il tempo massimo.

Per regolamento deve essere rimandata a casa. Ma l’allora direttore della Gazzetta, Emilio Colombo, che aveva permesso la partecipazione di Alfonsina al Giro e aveva capito quale curiosità suscitasse nel pubblico la prima ciclista italiana della storia, propone un compromesso: ad Alfonsina sarà consentito proseguire la corsa, ma non è più considerata in gara. Lei acconsente e prosegue la sua sfida.

Il Giro si conclude con la vittoria di Giuseppe Enrici dopo il duello con Federico Gay. Dei 90 corridori partiti solo 30 arrivano a Milano. Alfonsina è tra questi. Al traguardo, gli spettatori le riservano un’accoglienza piena di entusiasmo e di calore, strappandola dalla bicicletta e acclamandola come i campioni più stimati: tutti vogliono vedere questa donna eccezionale che, nonostante diversi imprevisti, forature e cadute, riesce ad arrivare a testa alta alla fine del Giro.

La straordinaria impresa di Alfonsina non basterà a cambiare la storia: nessuna donna parteciperà mai più alla Corsa Rosa. Negli anni successivi, infatti, ad Alfonsina viene negata la possibilità di iscriversi al Giro. Lei però vi partecipa ugualmente per lunghi tratti, come aveva fatto al suo esordio, conquistando l’amicizia, la stima e l’ammirazione di numerosi giornalisti, corridori e appassionati di ciclismo che continuano a seguire le sue imprese con curiosità ed entusiasmo. Partecipa ancora a numerose altre competizioni finché nel 1938, a Longchamp, conquista il record femminile dell’ora (35,28 km).

La storia di Alfonsina ci ricorda che la parità di genere nell’agonismo è una gara iniziata ormai un secolo fa e che continua ancora oggi. “Con la bicicletta – scrive Simona Baldelli nel suo libro dedicato all’eroina sulle due ruote – Alfonsina imparò la disobbedienza”. La sua è una storia di ribellione, di conquista e di libertà. Fa sognare e dona speranza. Una storia da cui tutti noi possiamo trarre ispirazione per portare avanti le nostre piccole e grandi battaglie di ogni giorno.